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Disturbi alimentari: come uscirne

Disturbi alimentari

Introduzione ai disturbi alimentari.

Un periodo storico-culturale può essere caratterizzato dalla prevalenza di particolari condizioni cliniche in una data popolazione.

Questo è vero anche per la psicopatologia.

Se nel secolo scorso prevalevano le nevrosi, l’isteria ad esempio, la nostra epoca sembra essere pervasa dai disturbi alimentari.

Nella società dell’apparire, dove le mode e la dittatura dei like dettano la condotta di molte persone, alcune condizioni di ipercontrollo del peso e del corpo possono assumere una dimensione clinica e psichiatrica, spesso in associazione con altri disturbi mentali.

Altre volte, è il comportamento dirompente, esplosivo, impulsivo, a canalizzarsi nell’area della condotta alimentare, danneggiando il corpo e mantenendo vivo un quadro psicopatologico non sempre facile da intercettare e curare.

Proviamo dunque a tracciare una definizione dei principali disturbi alimentari, per delinearne le specificità e provare a indicare come uscirne, senza la pretesa di essere esaustivi o di poter fornire soluzioni tramite un articolo.

L’elenco si focalizzerà su quelli più rilevanti, sapendo comunque che esistono condizioni di confine, non sempre identificabili con facilità, e talvolta, paradossalmente, camuffati addirittura da comportamenti salutistici (è il caso, ad esempio, dell’ortoressia, un atteggiamento ossessivo verso il controllo del cibo che induce chi ne soffre a rinunce e a condotte di pseudo-salutismo estremo, in realtà dannose).

Ecco dunque una definizione dei tipi di disturbi alimentari. (Fonte: DSM-5, APA, 2013).

  • Anoressia nervosa: restrizione nell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. È presente un’intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, un’alterazione del modo in cui viene vissuto il peso o la forma del proprio corpo, e spesso un’incapacità di riconoscere la gravità della condizione di sottopeso. In casi particolarmente gravi, può rendersi necessaria l’ospedalizzazione.
  • Bulimia nervosa: ricorrenti episodi di abbuffata, caratterizzati da mangiare, in un determinato periodo di tempo, una quantità di cibo decisamente superiore alla media di quanto assumerebbe la maggior parte degli individui, e dalla sensazione di perdere il controllo durante l’episodio, sentendosi dunque incapaci di smettere. A seguito di ciò, ricorrono inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi o altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva.
  • Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder): i criteri principali di questo disturbo sono sostanzialmente identici a quelli che caratterizzano la bulimia nervosa, cioè episodi di abbuffata come sopra descritti e sensazione di perdere il controllo durante gli episodi, però nel Binge Eating non si manifestano le condotte compensatorie della bulimia, quali il vomito autoindotto e le altre azioni per compensare l’accumulo di peso.

Chi è affetto da Binge Eating tende a mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieno anche se non si sente affamato, sviluppando successivamente disgusto per sé stesso, depressione e sensi di colpa.

Come già detto, l’ampia sezione dei disturbi alimentari comprende altri cluster sintomatologici oltre a quelli qui sopra menzionati. Inoltre, difficilmente un disturbo alimentare si presenterà isolato, più probabile che si intrecci con un’altra condizione clinica, ad esempio bulimia nervosa e disturbo borderline di personalità, anoressia nervosa e funzionamento ossessivo, e via di seguito.

Tuttavia, in questo contesto voglio limitarmi a delineare alcune peculiarità inerenti i disturbi alimentari, le possibili cause, e attraverso quali trattamenti uscirne.

Come spesso accade in psicopatologia, cause e fattori di rischio sono da individuare in una combinazione di aspetti genetici, ambientali e psicologici. Laddove la genetica può determinare una predisposizione, l’ambiente, inteso come matrice di relazioni durante l’età evolutiva, e la propria elaborazione intrapsichica, cioè il modo in cui ciascun soggetto sviluppa meccanismi di difesa per proteggersi da traumi o mancanza di sintonia con le figure di attaccamento, concorrono fortemente a produrre l’insorgenza di un quadro inizialmente subdolo, meno evidente, ma talvolta rintracciabile sin dall’infanzia e dall’adolescenza. Spesso però occorre lo sguardo di un esperto per cogliere i cosiddetti segnali prodromici, cioè che anticipano la possibile insorgenza di un quadro clinico strutturato.

Segnali di un disturbo alimentare

Vediamo i possibili segnali di disturbo alimentare, imparando a non trascurarli se qualcuno cui siamo vicino li manifesta.

Possono presentarsi sintomi fisici, quali:

  • perdita o aumento significativo di peso;
  • problemi gastrointestinali;
  • sintomi comportamentali, come restrizione alimentare o abbuffate frequenti;
  • uso eccessivo di lassativi o diuretici.

È opportuno ricordare di nuovo che spesso chi soffre di queste problematiche cliniche non si avvede della propria condizione, o la riconosce solo in parte; per questo il monitoraggio di familiari e amici può rivelarsi prezioso. Talvolta, infatti, proprio le figure affettive di riferimento possono contribuire all’accettazione del problema, aiutando chi soffre a riconoscere di avere un problema e favorendo l’importanza dell’auto-consapevolezza.

I Disturbi alimentari : accettazione del problema

Anche quando, però, questa auto-consapevolezza è maturata, non è sempre facile chiedere aiuto, sia per un’istintiva resistenza verso il cambiamento, sia per il timore di non essere capiti, visto che, non di rado, i disturbi alimentari costituiscono, sul piano psicodinamico inconscio, una forma non verbale di comunicazione all’interno di relazioni che possono essere conflittuali o disfunzionali.

Ecco che, paradossalmente, le figure relazionali che potrebbero aiutare il soggetto sofferente di disturbi alimentari ad uscirne possono essere le stesse coinvolte nel conflitto o nella disfunzione.

La persona che soffre di disturbi alimentari potrebbe utilizzare inconsciamente il rapporto con il cibo per comunicare e imporre ciò che non riesce ad ottenere in altro modo, ad esempio nell’anoressia il “vietato entrare” della chiusura al cibo può rappresentare la disperazione di una ragazzina che si sente invasa dal controllo dei genitori, reale o vissuto come tale, ripristinando dunque un equilibrio di potere che diventa anche una modalità di aggressione passiva.

Per questo fronteggiare il tema dei disturbi alimentari e come uscirne può non essere semplice se non ci si rivolge ad un esperto.

Chiedere aiuto per risolvere i disturbi alimentari

Parlare con una persona di fiducia è il primo passo, ma non basta.

Quasi sempre è necessario consultare professionisti della salute mentale quali psicologi e psichiatri, consultare nutrizionisti e dietisti e, possibilmente, far sì che i diversi professionisti entrino in contatto e in sinergia tra loro.

Quali sono i trattamenti disponibili per aiutare chi soffre di disturbi alimentari ad uscirne?

Dal mio punto di vista, in generale rispetto al tema della psicoterapia, non esiste un trattamento d’elezione, che sia indubitabilmente superiore agli altri; credo piuttosto in una combinazione di metodi e di tecniche che poggino sempre le loro basi sulla costruzione di una solida alleanza di lavoro all’interno di una relazione terapeutica confezionata su misura.

Ciò detto, sono molti i trattamenti disponibili cui si può fare riferimento: la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) per modificare gli schemi irrazionali di pensiero e controcondizionare il comportamento, la terapia familiare per evidenziare e cambiare i paradossi della comunicazione, la psicoterapia psicodinamica per svelare i meccanismi di difesa inconsci che sorreggono la patologia, eventuale terapia farmacologica se necessaria, programmi di riabilitazione intensiva.

Supporto sociale nei disturbi alimentari

Oltre all’aspetto più strettamente terapeutico, ve ne è un altro non irrilevante che riguarda Il supporto sociale. Gruppi di supporto e auto-aiuto, l’importanza del sostegno familiare e degli amici (anche se, come già precisato, in ambito familiare possono emergere conflitti e ambivalenze comunicative da gestire), si pongono come possibile – e talvolta preziosa – integrazione alla psicoterapia, contribuendo ad un esito risolutivo del quadro clinico.

Via via che la consapevolezza della persona sofferente di disturbi alimentari si sviluppa, come uscirne si concretizza anche mediante cambiamenti significativi nello stile di vita: alimentazione equilibrata e sana, esercizio fisico moderato e regolare (astenendosi quindi da quelle forme estreme talvolta tipiche della patologia), capacità di gestione dello stress padroneggiando utili tecniche di rilassamento, sono solo alcuni dei cambiamenti cui si può assistere – e che vanno finanche incentivati – nella persona in via di guarigione o maggiormente consapevole.

Una volta giunti ad una ambita fase di risoluzione dei sintomi e di superamento del quadro psicopatologico, chi ha sofferto di disturbi alimentari, oltre ad avere imparato come uscirne, deve prestare particolarmente attenzione a non ricaderci.

Prevenzione delle ricadute nei Disturbi alimentari

Dunque la prevenzione delle ricadute è cruciale per non vanificare il faticoso lavoro svolto, e va attuata tramite monitoraggio continuo della salute mentale e fisica e con l’adozione di strategie per affrontare i trigger emotivi e situazionali, intesi come inneschi capaci di agire anche a livello inconscio che riportano la persona ad una situazione già vissuta inducendola a ripetere comportamenti schematici e talvolta automatizzati.

Risorse utili sui Disturbi alimentari

Alcune risorse utili possono essere le organizzazioni non profit e le associazioni, tra le quali possiamo citare ANAD e ABA, specifiche per l’area dei disturbi alimentari, ma anche libri e materiali educativi sulla nutrizione e la salute mentale, affinché la persona diventi istruita anche sul piano tecnico rispetto a ciò che le accade, sia fisicamente che psicologicamente, quando soffre di disturbi alimentari o quando è a rischio di ricadute.

In conclusione, è bene sottolineare che per trattare con successo i disturbi alimentari non è sufficiente una psicoterapia prescrittiva con un soggetto passivo che riceve le disposizioni dell’esperto, ma è necessaria la collaborazione di tutti, anche della persona che soffre, la quale, parte attiva della stessa terapia, deve avere a cuore l’importanza della perseveranza nel percorso di guarigione.

La possibilità reale di recupero è documentata dai numerosi casi di successo nella psicologia clinica dei disturbi alimentari, e sentirsi parte di una squadra che lavora solertemente per il raggiungimento di un obiettivo comune è già un passo fondamentale verso un concreto e apprezzabile cambiamento.

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